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calcolatore” che ancora ho nel mio studiolo e che piace tanto al mio nipotino più piccolo, ma io so che non
imparerà mai ad usarlo! Nel laboratorio si dovevano analizzare campioni provenienti da un impianto in cui si
sperimentavano nuovi processi di separazione del Plutonio dall’Uranio. C’erano scatole a guanti e radio-
monitoraggio, ed autorizzazione ad usare piccole quantità di plutonio per esperimenti chimici. Vi ritrovai
Renato e Mauro. Preparavano soluzioni contenenti plutonio, uranio e nettunio in varie condizioni per
studiarne i complessi utilizzando tecniche spettrofotometriche, radiochimiche e raggi X. C’era anche un
polarografo a mercurio con il quale si tentava di analizzare la concentrazione del plutonio e dell’uranio
sciolti in soluzioni di acido nitrico (fluido di processo per la loro separazione), ma la tecnica non stava
funzionando. Fui incaricato del problema e mi resi conto che lo ione Pu4+ stabile in soluzione nitrica ha un
potenziale ossidante così alto da ossidare l’elettrodo a mercurio (Hg metallo liquido si scioglieva come ione
Hg2+ nell’acido nitrico), il polarografo quindi non poteva essere utilizzato. Accennai che un elettrodo in
platino avrebbe consentito l’analisi voltammetrica del Pu4+ in campo anodico (ossidante). Allora fui spedito
in una unità che fu capace di costruirmi “subito” l’elettrodo di platino e in poco tempo mi fu facile allestire
una strumentazione elettrochimica adatta, c’era un sevizio di elettronica efficientissimo.
Ero entusiasta di come si faceva ricerca alla Casaccia, c’era uno spirito collaborativo tra le varie unità ed un
rapporto informale tra tecnici, ricercatori, ingegneri, capi laboratorio e direttori. La mensa era ottima, il
cuoco era famoso per la sua capacità (e per il suo stipendio), c’era ampia scelta di pasti preparati in una
grande cucina a vista dei commensali e tutti venivano serviti in varie rapide file senza privilegi o separazioni
gerarchiche.
Nei laboratori era disponibile il budget per acquistare strumentazione, non fu un problema per me acquistare
un’apparecchiatura elettrochimica all’avanguardia che consentiva una elevata velocità di scansione (anche
ciclica) del potenziale elettrodico. Che cosè? Sostanzialmente si tratta proprio il potenziale di ossido-
riduzione che Seaborg ha usato imponendolo “chimicamente” alle soluzioni acide per riuscire a separare il
plutonio dall’uranio, ma questa volta viene imposto ad un elettrodo metallico immerso nella soluzione
applicando una differenza di potenziale elettrico tra esso ed un altro elettrodo anch’esso nella stessa
soluzione, ma di superficie molto più grande. Applicando un voltaggio tra i due elettrodi passerà della
corrente la cui densità è concentrata sull’elettrodo piccolo (si chiama elettrodo di lavoro). Se uno ione
presente in soluzione, per esempio Pu3+, a causa del potenziale imposto all’elettrodo piccolo gli cede un
elettrone e diventar Pu4+ si misura una “corrente”. Ma ciò può avvenire solo se il potenziale che applico
supera un valore E° che è il potenziale di ossido-riduzione (redox) della coppia Pu3+/Pu4+. Se io faccio
variare il potenziale dell’elettrodo di lavoro misurando la corrente che passa (voltammetria) ogni volta che
arrivo ad un valore del potenziale redox di uno ione in soluzione, questo si ossida o si riduce cedendo o
acquisendo elettroni, la corrente varia in corrispondenza del suo E°, ogni coppia ha il suo E°. Quello che
succede sull’altro elettrodo (si chiama contro-elettrodo) non interessa perché su di esso la densità di corrente
è bassissima. (In realtà si usa anche un terzo elettrodo, quello di “riferimento”, in cui non passa affatto
corrente e la sua differenza di potenziale con l’elettrodo di lavoro fornisce per quest’ultimo il potenziale
redox imposto E con alta precisione, e può essere fatto variare a piacimento da una strumentazione
elettronica (esempio in Figura 4 A)). Dal tempo della mia tesi l’elettrochimica era la mia passione, ora
avevo l’opportunità di applicarla sugli elementi come uranio e transuranici che pochi al mondo avevano a
disposizione. Gli E° delle coppie redox dell’uranio e dei transuranici nettunio e plutonio erano ben noti, ma
la loro ricchezza di stati di valenza ionica (es. Tabella 1) ed i dettagli del loro comportamento in soluzioni
acquose nelle più svariate condizioni di acidità, salinità e presenza di complessanti erano oggetto di ricerca
importante per l’ingegneria chimica dello sviluppo di nuovi processi per la loro separazione e purificazione.
La voltammetria era un arma importante per questo tipo di ricerca, ed io l’avevo tra le mani nel posto giusto.
Ho potuto studiare i meccanismi e la cinetica delle reazioni di ossido-riduzione elettrodiche con tecniche di
“Cyclic Voltammetry” (CV) la cui base teorica era in auge in quel tempo. Fui il primo ad applicarla ai
diversi stati di valenza del plutonio e del nettunio (con elettrodi in platino ed in grafite pirolitica) e
dell’uranio (elettrodo a mercurio) in svariate soluzioni acquose (Figura 4). Ma purtroppo la cosa durò poco.
Nel 1969, quando nacque la mia cara Cristina, al CNEN ci fu la rivoluzione. Sulla scia del movimento
giovanile del 68 in Francia, anche in Italia ci furono moti di ribellione contro il “sistema”, soprattutto nelle
scuole, università, istituzioni culturali o scientifico-tecnologiche come la nostra. Io ero molto perplesso
perché non mi sembrava che le condizioni economiche e di lavoro fossero male al CNEN.
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